ACAS3D Soluzioni Digitali S.r.l.
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RILIEVO LASER SCANNER E FOTOGRAMMETRICO
Nell’ambito di un progetto di collaborazione tra Acas3d ed il Museo Civico Archeologico Isidoro Falchi di Vetulonia (si ringrazia la Dott. Simona Rafanelli) è stata eseguita, nell’ottobre del 2017, la digitalizzazione ad altissima definizione della statua bronzea dell’Efebo di Via dell’Abbondanza, ritrovata a Pompei nel 1925 e di proprietà del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (MANN).
La digitalizzazione, eseguita mediante l’utilizzo di laser scanner e camere fotogrammetriche ad altissima.
risoluzione, ha permesso di realizzare un modello 3D dell’opera con accuratezza millimetrica e fedele restituzione colorimetrica.
In fase di acquisizione infatti, è stato utilizzato un set illuminotecnico calibrato e studiato in modo da ottenere la massima fedeltà anche dal punto di vista colorimetrico della statua. In fase di Post Produzione, il modello è stato lavorato per la produzione di un applicativo compatibile con i moderni visori di realtà virtuale “Oculus Rift” e per la creazione di una piattaforma multimediale compatibile con la tecnologia “touch screen”.
PRODOTTI
Nuvola di punti
Modello 3D ad altissima risoluzione
Piattaforma multimediale
Esperienza immersiva
INFORMAZIONI STORICHE
l’Efebo da Via dell’Abbondanza fu rinvenuto nel 1925 da Amedeo Maiuri ancorain piedi e poggiato sulla base circolare in bronzo e marmo sulla quale erano deposti due sostegni di candelabro a forma di tralci. Al momento dell’eruzione l’Efebo e gli altri oggetti erano stati ricoperti con teli per proteggerli dalla polvere e dai possibili danni causati dai lavori di ristrutturazione in corso nell’edificio come dimostrano i resti di tessuto mineralizzato visibili in più punti sulla statua. Maiuri descrive con precisione le condizioni di conservazione dell’Efebo appena ritrovato: la gamba sinistra era spezzata all’altezza del ginocchio; il polpaccio della gamba destra era esploso a causa della compressione dovuta al peso dei detriti vulcanici; l’antica sutura che collegava l’avambraccio destro all’omero si era riaperta; la base in bronzo era leggermente deformata e schiacciata; le pupille erano andate perdute. Inoltre, secondo Maiuri, la statua era stata sottoposta ad una doratura, che egli ritiene fatta a bagno con un procedimento tecnico che non gli è noto.
Il primo restauro dell’Efebo, eseguito nel 1925nel Gabinetto dei restauri del Museo Nazionale di Napoli dal disegnatore Michelangelo Puccetti sotto la direzione di Maiuri, portò al ricongiungimento delle parti staccate degli arti inferiori, alla ricomposizione dell’avambraccio destro e alla creazione di una solida armatura interna che desse stabilità alla statua. Le fotografie del 1925 mostrano la frattura del braccio destro ricomposta e mimetizzata così come risultano ricomposte e mimetizzate le parti frammentate degli arti inferiori e dei piedi mentre la superficie della statua e le basi non appaiono ancora sottoposte a pulitura. Purtroppo, non abbiamo immagini della statua dopo l’aggressiva pulitura che comportò quella diffusa spatinatura del metallo che Maiuri, sorprendentemente, interpretò come una doratura. Importanti interventi conservativi effettuati nel 1996 presso il Laboratorio di Conservazione e Restauro del Museo di Napoli hanno consentito di documentare il restauro eseguito all’epoca del rinvenimento. Ciò è stato possibile grazie allo smontaggio dell’Efebo resosi necessario a causa delle precarie condizioni statiche della statua. Si è potuto, così, verificare che l’Efebo era sostenuto all’interno da un’armatura costituita da due sbarre di ottone a sezione rettangolare ciascuna composta da almeno due segmenti sagomati e saldati a stagno in corrispondenza delle ginocchia. Per evitare il contatto diretto con il bronzo antico le estremità superiori delle barre erano protette con una benda di tessuto arrotolata fissata sul bronzo con cemento. La parte terminale inferiore delle barre andava invece ad inserirsi in apposite fessure ricavate nella base di bronzo. Per dare stabilità all’armatura interna e per fornire una superficie d’appoggio compatta su cui fissare i frammenti da ricomporre, le gambe e parte delle cosce furono riempite di cemento e per evitare il contatto diretto di quest’ultimo con il bronzo antico fu inserito un tessuto di rasatello giallognolo. L’uso di cemento all’interno di statue in bronzo è attestato negli stessi anni anche nel restauro di un’altra celebre scultura, l’Efebo di Selinunte, sottoposto a restauro presso il laboratorio del Real Museo Archeologico di Siracusa nel 1928 sotto la direzione di Paolo Orsi prima e di Pirro Marconi poi dal restauratore Giuseppe D’Amico, che, come riferisce Marconi, fu l’inventore di un mastice a presa rapida rivelatosi poi cemento a seguito delle indagini condotte dall’ICR agli inizi degli anni ’80 del ‘900. L’appesantimento degli arti inferiori con il cemento è stata senza dubbio la principale causa delle precarie condizioni statiche dell’Efebo di Via dell’Abbondanza. L’asportazione di tale dannoso riempimento ha richiesto un lavoro lungo e attento nel corso del quale, nella gamba destra, si sono rinvenuti pezzi di legno e frammenti di tela posti tra il cemento e il bronzo. Complesso si è rivelato il sistema utilizzato da Puccetti per fissare il braccio destro che fu assemblato alla spalla antica mediante tre placchette di ottone fissate con viti di ottone filettate. Su tale armatura venne poi steso uno strato di malta e su di essa furono posti i tasselli antichi che andarono a mascherare la congiunzione tra l’omero e il braccio. Di particolare interesse per la comprensione dell’adattamento a portalampada che la statua dell’Efebo ebbe a Pompei è stata la pulitura del piede sinistro. Si è documentato, infatti, ciò che Maiuri aveva già osservato nel 1925 e cioè che la base in bronzo non era quella originaria ma che era stata adattata. Lo dimostrano sotto la pianta del piede sinistro la presenza di un netto taglio trasversale e l’ampliamento dell’alloggiamento per il perno presente all’interno del tallone che originariamente doveva essere più piccolo e rettangolare. Sicuramente originale fu il sistema utilizzato da Puccetti per ancorare la testa al corpo dell’Efebo. Il disegnatore–restauratore, infatti, inserì all’interno del collo un sostegno di legno sagomato bloccato con cemento e poi mimetizzò il punto di giunzione tra il collo e la testa con una stuccatura pigmentata. Fin qui gli importanti risultati dell’intervento effettuato a Napoli nel 1996 che hanno consentito di conoscere insolite tecniche di restauro dei bronzi in uso presso il Museo napoletano nei primi anni del ‘900 e di documentare gli interventi effettuati sull’Efebo nel 1925. Dal Museo Nazionale di Napoli l’Efebo fu poi trasferito nel 1999 presso il Centro di Restauro di Firenze della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana ove furono effettuate indagini radiografiche e la sostituzione della vecchia armatura interna in ottone con un nuovo supporto in acciaio. Un ultimo intervento sulla base è stato infine realizzato nel 2009 presso il Getty Villa di Malibù in occasione del prestito di lunga durata della statua al museo californiano nell’ambito degli accordi di collaborazione tra il Museo Archeologico Nazionale di Napoli e il J. Paul Getty Museum di Los Angeles.